Parole / Assimilazione

QUEER AS FOLKS: ALLEGORIA DELLA TENSIONE TRA ASSIMILAZIONISMO E DISOBBEDIENZA QUEER

Queer as Folks è una serie televisiva canadese-americana prodotta tra il 2000 e il 2005. E’ stata la prima serie a ritrarre le vite di un gruppo di amici gay senza edulcorarne la sessualità per non alienare un’audience eteronormata e di famiglie tradizionali che costituiva (e in Italia ancora costituisce) lo standard per i programmi televisivi. Riguardandolo per la millesima volta ho capito quanto la storia narrata possa essere considerata un’allegoria per le tensioni assimilazioniste versus la chiamata alla disobbedienza all’interno della comunità LGBTQIA+. 

Brian e Michael sono i protagonisti principali e rappresentano due poli di questa tensione. Laddove Michael Novotney aspira ad essere un americano medio, avere una sua piccola attività, avere una famiglia mononucleare, sposarsi, essere proprietario di una casa con un cortiletto e una staccionata bianca in stile sobborghi americani family friendly, borghesi e bianchi, il motto di Brian è “ci sono soltanto due tipi di persone etero: quelli che ti odiano in faccia e quelli che ti odiano alle spalle”. Brian Kinney è l’antitesi di Michael, sia nel suo rigetto consapevole del desiderio di queste tappe “obbligatorie” nella vita di una persona sia nella lotta politica contro “i gay per bene”, quelli che l’AIDS non sanno nemmeno cosa sia, quelli che “sono come voi”, voi persone etero, voi persone borghesi per bene che difendono la famiglia tradizionale e i valori che essa richiede. Brian è la star della scena gay di Pittsburgh (dov’è ambientata la serie), non scopa mai la stessa persona due volte, rifiuta la monogamia obbligatoria e ritiene che il matrimonio sia un mero accordo tra sfornatori di marmocchi seriali che hanno bisogno di una giustificazione idealistica, religiosa, legale o sociale per scopare.

COS’E’ L’ASSIMILAZIONISMO?

Come si può cominciare ad intuire, la questione assimilazione vs disobbedienza queer è legata al concetto di accettabilità sociale, ai tabù e alla loro demistificazione intenzionale o meno. Con assimilazione, infatti, intendiamo quella strategia, presente in molti movimenti per la difesa dei diritti di gruppi oppressi, secondo la quale il raggiungimento dei pieni diritti sociali e civili per le categorie marginalizzate si possa ottenere soltanto attraverso l’imitazione del modello proposto dal loro oppressore. In altre parole, soltanto rispecchiando i valori ed i modelli che la norma opprimente propone le individualità oppresse potranno essere accettate e dunque incluse nella società. Lo spiega meravigliosamente la compagna americana, scrittrice e attivista Tatiana Cozzarelli in un articolo di Left Voice:

“Ci sono sempre ali assimilazioniste e non assimilazioniste dei movimenti, e l’organizzazione queer dei primi tempi è la stessa […] Questo tipo di settori assimilazionisti li vediamo in tutti i gruppi oppressi. Settori che vedono la struttura sociale come un qualcosa di giusto e il concetto stesso di eguaglianza come una scala: se accumuliamo semplicemente un diritto dopo l’altro, possiamo ottenere la liberazione. I gruppi oppressi sono settori in sé interclassisti e questi assimilazionisti rappresentano i settori più privilegiati: i Buttigieg, i Barack Obama, e gli Hillary Clinton fra noi, rappresentano la classe capitalista nonostante appartengono alle categorie oppresse.” [1]

Da persona che individua nel termine “queer” un fortissimo significato di disobbedienza, di rottura delle sovrastrutture della società e re-immaginazione collettiva di modi d’essere e di vivere le relazioni alternativi, le mie parole sono inevitabilmente mediate da questa posizione ideologica. Anzi, richiamo alla memoria e rivendico la storia della nascita del termine anglofono “queer” come termine disobbediente e insolente, non solo nei confronti della società eterocisnormata, ma anche nei confronti dei gruppi americani di gay e lesbiche degli anni ‘80-’90 che rifiutavano le individualità trans, bisessuali, positive al virus dell’HIV, kinky e non monogame perchè troppo difficili da ricondurre alla narrativa assimilazionista del “le persone gay non sono pervertite, non sono malate. Sono padri e madri di famiglia e cittadini americani”, appellandosi all’elettorato conservatore degli anni della presidenza di Bush alla Casa Bianca.

IL DECORO FASCISTA COME NORMA DA DISTRUGGERE

Nella mia chiave di lettura, la dissidenza intenzionale è sempre stata un cardine del movimento queer, articolandosi principalmente attorno al rifiuto delle politiche dell’accettabilità e delle politiche identitarie. Il queer è una chiamata alla disobbedienza, è l’opposto del decoro e proprio la questione del decoro è un ulteriore punto essenziale del discorso. Considerando non solo le radici fasciste, borghesi [2] e cattolico-cristiane di questo concetto, ma anche la sua accezione di genere (il decoro femminile), c’è una storicità da non tralasciare, anche in Italia: l’etichettare identità sovversive e contrarie alla norma come “indecorose” oppure “oscene” e spesso criminalizzarle o ostracizzarle a salvaguardia di un “ordine pubblico” mussoliniano – e per il contesto americano ricordiamo il famoso “law and order” promosso da Nixon e Reagan – concorre alla pratica dell’assimilazione. Infatti, chiunque non rispecchi questo ideale (persone queer, sex workers, persone kinky, non monogame, persone affette da malattie mentali, persone disabili, senzatetto…) è spinto a sentirsi di doverlo raggiungere per ottenere diritti e rispetto sociale. In altre parole, io rivendico la necessità di cambiare lo standard esistente invece di dovermi adeguare ad esso. 

SCELTE INDIVIDUALI VS AGENDE POLITICHE

Ciononostante, le scelte individuali consapevoli o inconsapevoli, non sono recriminabili. Con questo intendo che spesso la lotta e la presa di consapevolezza vanno di pari passo ad almeno un certo grado di privilegio; l’assimilazionismo non è soltanto una pratica divulgativa del politically correct dei movimenti a difesa dei diritti delle individualità marginalizzate, ma può anche essere una necessità di sopravvivenza. Oserei persino dire che, in certi casi, ciò che per alcunu è considerabile assimilazionista per qualcun altru può essere già un atto di resistenza. Di certo non sta a me giudicare. Tornando a Queer as Folks, Michael e Brian sono chiari esempi anche di quest’ultimo punto: l’autodeterminazione, come spesso accade, è la chiave del discorso. La dissidenza queer è tanto valida quanto la lotta per i diritti civili e sociali. Che questi diritti si rifacciano poi a una norma che le persone queer rifiutano, non implica che non sia necessario averli. Le sovrastrutture sociali sono costrutti e vanno eliminati ma ciò non significa che essi non abbiano forti ripercussioni materiali e quotidiane per tuttu noi. Il fatto che Michael Novotney aspiri ad essere un cittadino modello, avere una sua piccola attività, avere una famiglia mononucleare, sposarsi, essere proprietario di una casa con un cortiletto e una staccionata bianca in stile sobborghi americani family friendly, borghesi e bianchi, non può essere minata con leggerezza e non implica che la sua scelta sia meno valida di quella di lotta dissidente di Brian. Non è meno valida, certo, eppure d’altro canto riproduce il modello eterocispatriarcale e capitalista in questione. E’ questa la tensione tra la scelta personale e la proiezione politica che questa scelta personale porta con sé. 

[1] “Dalla liberazione queer alla rivoluzione socialista”, Tatiana Cozzarelli, lavocedellelotte.it, 2020

[2] “La persistenza della cultura fascista si manifesta nel comportamento della polizia”, Alessandra Pellegrini De Luca, The Vision, 2020


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